In una delle sue ultime interviste Umberto Eco disse che i social avevano dato diritto di parola a legioni di imbecilli. Aveva ragione. Ma si era dimenticato di spiegare che le legioni di imbecilli c’erano già prima, ci sono e ci saranno sempre. Anche gli imbecilli hanno diritto di esistere e di votare. L’unica differenza è che prima tacevano, ed era più facile far finta che non ci fossero.

Mancano dieci giorni ai ballottaggi e non se ne può più, anche perché non si capisce l’utilità del bombardamento. Fior di studi dimostrano che i social non fanno cambiare le opinioni, ma rafforzano quelle che già si hanno. Un po’ perché si tende a interloquire con persone affini, molto perché l’obiettivo primario di chi posta e twitta è quello di esprimere se stesso e le sue idee, giuste o sbagliate che siano.
Sui social non si dialoga, ci si confronta. E poiché le cerchie degli amici virtuali sono in genere molto più larghe delle cerchie degli amici veri, la probabilità di incontrare un imbecille – e naturalmente quella speculare e altrettanto legittima di essere considerato tale – cresce in modo esponenziale.
Non c’e’ rimedio, purtroppo. Ne sono perfettamente consapevole mentre mi arruolo nelle legioni di Umberto Eco postando questa riflessione. Però vi avverto. Ancora uno spot promozionale di un aspirante sindaco all’apertura di un video di Youtube e nel segreto dell’urna non risponderò delle mie azioni.