Una difficile convivenza
Ventitré anni sono lunghi. In politica lunghissimi. Eppure tanto è durato il governo del centro sinistra a Torino. Due mandati per Valentino Castellani, due per Sergio Chiamparino, uno per Piero Fassino. Poi è arrivata lei, Chiara Appendino, che ha sconfitto al ballottaggio Fassino nelle elezioni di giugno, raccogliendo il consenso di oltre 200 mila torinesi.
Sulle cause di questo risultato, inatteso da molti, sono stati versati fiumi di parole e di inchiostro, e non è il caso di tornare. Di quello che accadrà è forse troppo presto per parlare senza cadere nel trionfalismo dei vincitori o nel catastrofismo degli sconfitti. Ma il suo significato, a sei mesi dal voto, è chiaro: si è chiusa un’epoca storica, e se ne è aperta un’altra. Perché, se anche la giunta cinque stelle cadesse domani, nulla potrà più essere come prima.
L’aria che si respira a Torino è cambiata. Chi è abbastanza vecchio ricorderà sensazioni analoghe nel 1975, con la storica vittoria delle sinistre e il varo delle giunte rosse guidate da Diego Novelli. Poi nel 1985, che segnò la traumatica fine di quella esperienza e l’inizio di otto anni incerti, con quattro diversi sindaci riconducibili al pentapartito – Giorgio Cardetti, Maria Magnani Noya, Valerio Zanone e Giovanna Cattaneo – e un commissario di governo. E infine nel 1993, quando nel ballottaggio da poco introdotto si confrontarono due diverse concezioni della sinistra e Castellani sconfisse Novelli, anche in quel caso con sorpresa di molti.
Senza entrare in valutazioni di merito, queste tre date hanno in comune il fatto di aver avviato processi di rinnovamento che sono andati ben oltre gli eletti e hanno coinvolto la macchina comunale, gli enti strumentali e anche molte altre realtà formalmente autonome, ma non in condizione di ignorare la mutata realtà. Nuove esigenze sono venute alla ribalta, nuovi equilibri sono nati, nuove alleanze si sono strette. Qualcuno ne ha tratto vantaggio, qualche altro è stato penalizzato, sempre però nel rispetto delle forme e senza arrivare agli eccessi dello spoils-system di stampo anglosassone.
Il 2016 è un’altra di queste date, anche se molti, soprattutto tra gli ex amministratori scottati dall’esito del voto, non sembrano essersene accorti e preferiscono pensare che la sconfitta sia stata un incidente di percorso, esorcizzabile attaccando a testa bassa le manchevolezze vere o presunte dei vincitori. Sarebbe ingeneroso negare i meriti del centrosinistra che ha governato in anni difficili, segnati dal progressivo disimpegno della Fiat e dalla crisi dell’economia. Sarebbe miope non riconoscere quanto è stato fatto, grazie anche ai finanziamenti arrivati con le Olimpiadi, per accompagnare le trasformazioni della città senza penalizzare la sua coesione sociale. Ma al tempo stesso non bisogna dimenticare che la continuità di governo in questi ventitré anni è stata anche continuità di persone, e che molti si sono sentiti esclusi da un sistema di relazioni e di potere dove era possibile entrare soltanto per cooptazione, e a volte senza merito.
E’ stato detto che nel ballottaggio di giugno ha vinto la protesta, perché sul nome di Appendino si sarebbero coalizzati i voti di tutti gli sconfitti del primo turno. In realtà sarebbe stato più giusto dire i voti di tutti quelli che a torto o a ragione si sono sentiti dimenticati o penalizzati dalle politiche di chi ha governato. Interi quartieri, soprattutto in periferia, ma anche intellettuali, funzionari, imprenditori. E i numeri della vittoria pentastellata dimostrano che erano davvero tanti.
Il centrosinistra sconfitto dovrebbe riflettere su questo. A Appendino spetta invece l’onere di governare e di realizzare i suoi programmi. Che possono anche non piacere, ma ci sono, anche se sfuggono all’attenzione di chi è abituato alle vecchie forme di comunicazione della politica: basta una rapida ricognizione sul web – i cinque stelle non si fidano di giornali e televisioni – per rendersene conto. Quello che manca al nuovo sindaco è la squadra capace di realizzarli. In giunta e in consiglio siedono persone giovani, inesperte, non particolarmente coese e in qualche caso modeste, mentre il tessuto sociale della città resta quello disegnato dal centro sinistra in ventitré anni di governo.
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Opposizione cercasi

Il furbetto dello spottino

Grazie, Ken
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A proposito di Fuocoammare

Lasciare
Lasciare non è facile, anche quando lo si fa per scelta e non per obbligo. E se la ragione ti dice che il momento è arrivato, ci sono i ricordi le amicizie e le soddisfazioni professionali, di gran lunga più numerose delle delusioni, a ricordarti quanto siano stati importanti e belli trentatré anni di lavoro in RAI.
Gli amici dicono che non ce l’avrei mai fatta, e dunque va bene così. Altri sono arrivati, e portano avanti le loro idee del mondo e della professione. Io non le condivido, e dal primo di settembre non sarò più un giornalista RAI. Questo però non vuol dire che rinuncerò a dire la mia e a battermi, qui e altrove, per il giornalismo in cui credo.
Un brindisi per il Salone

\”Brindiamo: il supermercato del libro se ne va. Basta code chilometriche, biglietti d\’ingresso a 12 euro, numeri gonfiati, Cracco e Parodi a fare le star, Mediaword a fare da sponsor, confusione e gigantismo. Va a Milano, anzi a Rho (la magnifica Rho…), perché la Mondazzoli così vuole e cosi farà. E Dio sia lodato, perché è l\’occasione di fare piazza pulita e ricominciare con una proposta di qualità, dove si potrà ridare dignità al \”core business\”: la bella lettura. E la strada l\’ha già indicata uno dei pochi visionari davvero tali, Carlin Petrini, che farà il suo Salone del gusto nel cuore della città, tra la gente. Se Comune e Regione riusciranno davvero a dialogare, se verranno coinvolte le figure centrali, come gli editori e gli autori di qualità, bibliotecari e insegnanti, librerie indipendenti, giovani scrittori e giovani attori, insomma se davvero ci sarà la volontà allora si potrà ricreare un modello unico: la Città del Libro. E voglio proprio vedere se Camilleri, o chi per lui, preferirà fare una presentazione in una sala al neon del padiglione di Rho o con lo sfondo di Palazzo Madama. Quindi non disperiamoci, riprendiamo a creare perché di questo siamo capaci\”.
In memoria di un amico

I tempi cambiano, e non sta a noi vecchi dire se in meglio o in peggio. Di una cosa però sono sicuro. Gli strumenti possono essere diversi, ma sono la curiosità e la voglia di raccontare che fanno del giornalismo il mestiere più bello del mondo. E a Gianfranco non mancavano.
Ballottaggi in salsa social

Non c’e’ rimedio, purtroppo. Ne sono perfettamente consapevole mentre mi arruolo nelle legioni di Umberto Eco postando questa riflessione. Però vi avverto. Ancora uno spot promozionale di un aspirante sindaco all’apertura di un video di Youtube e nel segreto dell’urna non risponderò delle mie azioni.