Desolato

Desolato. Leggo i giornali, guardo la televisione –  sempre meno per la verità –  e mi rendo conto che questo  questo paese sta andando in una direzione che non è la  mia. Non ce l\’ho con Berlusconi. La destra ha vinto le elezioni, e, a differenza di quello che ha fatto a suo tempo il centro sinistra, governa. Semplicemente penso che le sue scelte, lungi dall\’essere efficaci nel combattere la crisi, stiano tirando fuori il peggio che è in noi. L\’incapacità di comportarsi razionalmente, la viscerale diffidenza nei confronti del diverso, l\’insofferenza nei confronti di ogni tipo di regola che limiti il nostro \”particulare\”, per quanto misero esso sia.
Prendiamo le ronde, quelle che il governo vorrebbe \”per gran parte formate da ex appartenenti alle forze dell\’ordine certificati dal prefetto\”. Un anno fa  chi le avesse proposte sarebbe stato sommerso dal ridicolo, come a suo tempo sono state sommerse dal ridicolo le loro antesignane,  le scalcagnate pattuglie in camicia verde che  si aggiravano per i quartieri a rischio di alcune città del nord seguite con discrezione dalle pattuglie dei carabinieri,  per evitare che si mettessero nei guai. Oggi se ne discute seriamente, e il presidente della repubblica invita la maggioranza a cercare l\’accordo con l\’opposizione prima di varare i provvedimenti. Di che cosa bisogna discutere, presidente? Del tipo di armi in  dotazione? Alle ronde della camorra, a Ponticelli, è bastata un po\’ di benzina per bruciare, insieme ai campi nomadi, anche un bel pezzo dello stato di diritto.
E che dire dei medici ai quali viene data la possibilità di denunciare i  pazienti clandestini? Ci viene spiegato che è una possibilità, non un obbligo. Ma la sostanza non cambia, perchè basta questa  teorica possibilità per  ottenere lo scopo, e cioè spaventare e allontanare. Non dalle nostre città, perchè i flussi migratori non possono essere fermati, ma dal nostro modo di vivere. Esattamente il contrario di quello che bisognerebbe fare per attenuare l\’impatto di quei flussi.
Ripeto, non ce l\’ho con la destra. Resto semplicemente sbalordito per la  cecità delle sue scelte, e per l\’afasia di un   centro-sinistra sostanzialmente subalterno al calendario imposto dalla destra non soltanto in parlamento, ma anche nel paese, grazie anche a  un sistema mediatico totalmente asservito.
Quello delle televisioni è un altro capitolo doloroso. Ma poichè mi tocca da vicino ne parlerò con più calma la prossima volta.
Pubblicità

Storie d\’altri tempi



Diceva Victor Serge nelle sue \”Memorie di un rivoluzionario\” : la rivoluzione è così. Questa e la realtà. Essa non è come la sogniamo, nè come vorremmo che fosse. Eccola là.

Parlava a ragion veduta, dall\’esilio messicano, dove morì nel 1947, forse per mano di un sicario di Stalin. Aveva 57 anni. Nell\’ultimo capitolo di quello che resta uno dei libri più affascinanti della storia del movimento operaio fa un bilancio della sua vita, che voglio riportare nei punti essenziali:


\”Ho passato dieci anni, su un po’ più di cinquanta, in diverse prigionie, generalmente dure. Non ho mai avuto beni, quasi mai ho vissuto in condizioni di sicurezza. Ho perduto varie volte tutto ciò a cui tenevo materialmente: libri, carte, reliquie personali A Bruxelles, a Parigi, a Barcellona, a Berlino, a Leningrado, alla frontiera dell’URSS, e ancora a Parigi, ho lasciato quasi tutto dietro di me, o tutto mi è stato tolto. Ciò mi ha reso indifferente alle cose materiali, senza scoraggiarmi di nulla. Le mie disposizioni mi hanno sempre portato al lavoro intellettuale. Poche soddisfazioni mi sembrano tanto vaste quanto quella di comprendere e di esprimere. Ai miei libri tengo probabilmente più che a tutto, ma ho prodotto molto meno di quanto avrei voluto, senza potermi rileggere, combattendo. I miei libri hanno avuto un destino singolare. Nella mia prima patria, la Russia, e precisamente perchè intendevo servirla senza menzogna, sono stati proibiti, tutti, ancora prima di essere pubblicati. Hanno trovato una buona accoglienza in Francia e Spagna: sono stati distrutti in Spagna e ignoro quel che ne sia accaduto in Francia. Negli Stati Uniti, tranne due eccezioni, gli editori conservatori li hanno considerati troppo rivoluzionari e gli editori di sinistra troppo antitotalitari, cioè troppo duri verso il regime staliniano. Ho constatato che lo scrittore non può esistere, nelle società moderne in decomposizione, altrimenti che adattandosi a interessi i quali limitano per forza i suoi orizzonti e ne mutilano la sincerità. Ho constatato, sopravvivendo per caso a tre generazioni di uomini valorosi anche nell’errore, ai quali fui profondamente legato e la cui memoria mi resta cara, la quasi impossibilità di vivere quando ci si consacra interamente a una causa che si crede giusta. In altri termini, quando ci si rifiuta di dissociare il pensiero dall’attività quotidiana. I giovani rivoltosi francesi e belgi dei miei venti anni hanno tutti finito per soccombere. I miei compagni sindacalisti di Barcellona del 1917 sono quasi tutti stati massacrati. I miei compagni e amici della rivoluzione russa sono quasi tutti periti, senza eccezione salvo miracoli. Tutti furono coraggiosi. Tutti si cercarono una regola di vita più alta e più giusta che la sottomissione all’ordine borghese. Confesso che il sentimento di avere tanti morti dietro di me – e molti di essi valevano più di me per energia, ingegno, formazione storica – mi ha spesso accasciato. E che questo sentimento è stato per me la fonte di un certo coraggio a cui forse converrebbe dare un altro nome. Mi riconosco il merito di avere visto chiaro in alcune circostanze importanti. La cosa in sé non è difficile, eppure è poco comune: Non credo che dipenda dalla intelligenza alta e sveglia, ma piuttosto dal buon senso, dalla buona volontà e da un certo coraggio nel superare l’influenza dell ’ambiente e una tendenza naturale a chiudere gli occhi sui fatti, tendenza che proviene dal nostro interesse immediato e dalla paura che ci ispirano i problemi. Ho scorto subito nella rivoluzione russa i germi di mali profondi come l’intolleranza e l’inclinazione a perseguitare i dissidenti. Essi provenivano da un sentimento assoluto di possesso della verità, innestato sulla rigidezza dottrinale. E questo sentimento si risolveva nel disprezzo dell’uomo differente, dei suoi argomenti, del suo modo di essere. Uno dei più gravi problemi che a ciascuno di noi tocca risolvere praticamente è certo quello dell’accordo da realizzare tra l’intransigenza che risulta da convinzioni ferme, la conservazione dello spirito critico nei riguardi di quelle stesse convinzioni e il rispetto della convinzione diversa. Varie volte mi sono sentito pessimista sulla funzione del pensiero nella società. Ho senza posa constatato, da un quarto di secolo, cioè a partire dalla stabilizzazione della rivoluzione russa un po’ prima del 1920, una tendenza generale alla repressione del pensiero critico. Ero troppo giovane prima per poter ben giudicare quello che avveniva nella società europea anteriore alla prima guerra mondiale. Ma ho l’impressione che il pensiero più audace vi incontrasse migliore accoglienza, vi trovasse perciò maggiori possibilità di vivere. Non metto in dubbio, dopo averci molto riflettuto, nè lo spirito scientifico del marxismo, nè il suo apporto insieme razionale e idealistico alla coscienza moderna. Ma non posso non considerare una grave sciagura il fatto che una ortodossia marxista si sia impadronita, in un grande paese in via di trasformazione sociale, dell’apparato del potere. Qualunque sia il valore scientifico di una dottrina, dal momento in cui diventa governativa gli interessi dello stato non le premettono più la ricerca disinteressata, e la sua stessa sicumera scientifica la conduce innanzi tutto a imporsi nell’educazione, poi a sottrarsi alla critica. I rapporti tra l’errore e la conoscenza giusta sono ancora troppo oscuri perchè si possa pretendere di regolarli autoritariamente, giacchè ci sono poche esattezze definitive. Ciò significa che la libertà di pensiero mi sembra uno dei valori più essenziali, e anche uno dei più combattuti. Ho incontrato dovunque, continuamente, la paura del pensiero, la repressione del pensiero, come un sordo desiderio assolutamente generale di fuggire o di reprimere questo fermento di inquietudine. Ho visto gli intellettuali di sinistra, nelle redazioni di giornali di riviste e giornali degne di stima, rifiutare di pubblicare la verità. Verità certe, che del resto essi non contestavano. Ma ne soffrivano, preferivano ignorarla, essa era in contraddizione con i loro interessi materiali e morali. Ho constatato in politica la stupefacente impotenza della previsione giusta, che fa boicottare, maledire o perseguitare colui che la formula. Il ruolo della intelligenza critica mi è apparso pericoloso e pressochè inutile. E’ la conclusione più scoraggiante a cui mi sia sentito portato. Mi guardo bene dal proporla come valida, metto questo sentimento sul conto della mia propria debolezza, e persisto a considerare il pensiero critico come una necessità assoluta, come un imperativo categorico a cui non ci si sottrae senza diminuirsi e senza fare torto alla comunità. E anche come fonte di alte soddisfazioni. Migliori epoche verranno. Forse sono vicine. Si tratta di tenere duro fino ad allora\”


Le epoche migliori non sono venute. Abbiamo guerre, contrasti razziali e religiosi, crisi economiche, tensioni sociali dall\’esito imprevedibile anche nei Paesi con i redditi individuali più alti. Irrazionalità e oscurantismo sono diventati sistema. Da un momento all\’altro qualche ordigno nucleare fuori controllo potrebbe dare il colpo di grazia a un edificio mondiale globalizzato, ma non per questo meno traballante.


L\’impotenza è il sentimento dominante. Qui in Italia chi non vuole rassegnarsi, chi pensa che sia un errore chiudersi nel più o meno dorato recinto del lavoro e della famiglia, deve fare i conti con un governo a dir poco repellente e con una opposizione inesistente, incapace di intercettare i sentimenti e le aspirazioni del suo popolo. Guardi i dirigenti del variegato arcipelago dei partiti del centro sinistra, dai democratici ai comunisti non pentiti, e vedi una gran quantità di mediocri amministratori, abili soltanto nel difendere i privilegi raggiunti grazie alla fedeltà alle diverse linee che nel corso degli anni sono state proposte. Poi incontri gli amici, ti confronti con quella società civile che secondo alcuni non esiste, vai nelle scuole e nelle università, e scopri che esiste un altro mondo, di scontenti come te. E ti viene voglia di parlare con questi scontenti, di fare qualcosa perchè le vostre idee, che senti condivise ma prive di cittadinanza, contino qualcosa.


Questo blog è per chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui, per chi ha letto le pagine di Victor Serge senza provare fastidio, per chi sa ancora riconoscere la grandezza sua e dei suoi compagni \”valorosi anche nell\’errore\”. Ma non è un blog per nostalgici. E\’ un blog per tenere duro e guardare avanti nel segno – per quanto possibile – di una laica e coerente razionalità.